Laudato si’ dieci anni dopo...

La lettera enciclica di papa Francesco Laudato si’, sulla cura della casa comune, compie 10 anni e mantiene una sorprendente vitalità e “contemporaneità”, dato che continua a suscitare, non soltanto nella Chiesa, molti movimenti e iniziative per rispettare e prendersi cura del nostro pianeta. Il primo ottobre papa Leone XIV, intervenendo alla conferenza del movimento Laudato si’, che ha radunato oltre 400 leader esperti di clima, nel centro Mariapoli di Castel Gandolfo (fino al 3 ottobre), per trattare sul tema “Rafforzare la speranza sul cambiamento climatico” ha sinteticamente ricordato così il percorso fatto finora: 

“Questa Enciclica ha fortemente stimolato la Chiesa Cattolica e molte persone di buona volontà. È diventata spunto per dialoghi e ha suscitato gruppi di riflessione, programmi scolastici e universitari, collaborazioni e progetti di vario tipo in ogni continente. Tante Diocesi e numerosi Istituti religiosi si sono lasciati ispirare per azioni di attenzione alla casa comune, che aiutino al tempo stesso a rimettere al centro i poveri e gli esclusi. L’impatto è giunto ai vertici internazionali, agli ambiti dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, a quelli economici e imprenditoriali, come pure agli studi teologici e bioetici. Il linguaggio della “cura della casa comune” è stato incorporato nei dibattiti accademici, scientifici e politici. Le preoccupazioni e le raccomandazioni di Papa Francesco sono state apprezzate e recepite non solo dai cattolici. Moltissimi, anche fuori dalla Chiesa, si sono sentiti capiti, rappresentati e sostenuti in questo preciso periodo della nostra storia”. 

Ovviamente è impossibile ricordare qui tutte le iniziative; ritengo importante segnalarne alcune, in ambito ecclesiale, tutte recenti. Anzitutto la celebrazione inaugurale, realizzata il 5 settembre scorso, a Castel Gandolfo, del Borgo Laudato si’, che Papa Francesco aveva ideato e che papa Leone XIV ha fatto sua. 

In quella occasione il Papa pronunciava queste sapienti parole: “«Guardate gli uccelli del cielo … Osservate come crescono i gigli del campo» (Mt 6,26.28). Non è raro che il Maestro di Nazaret faccia riferimento alla natura nei suoi insegnamenti. Flora e fauna sono spesso protagoniste nelle sue parabole. Ma in questo caso c’è un chiaro invito all’osservazione e alla contemplazione del creato, azioni finalizzate a comprendere il disegno originale del Creatore. Tutto è stato sapientemente ordinato, fin dall’inizio, affinché tutte le creature concorrano alla realizzazione del Regno di Dio. Ogni creatura ha un ruolo importante e specifico nel suo progetto, e ciascuna è “cosa buona”, come sottolinea il Libro della Genesi (cfr Gen 1,1-29). Quasi a riprendere implicitamente il racconto della Genesi, Gesù sottolinea il posto speciale riservato, nell’atto creativo, all’essere umano: la creatura più bella, fatta a immagine e somiglianza di Dio. Ma a tale privilegio è associata una grande responsabilità: quella di custodire tutte le altre creature, nel rispetto del disegno del Creatore (cfr Gen 2,15). La cura del creato, dunque, rappresenta una vera e propria vocazione per ogni essere umano, un impegno da svolgere all’interno del creato stesso, senza mai dimenticare che siamo creature tra le creature e non creatori. Per questo è importante, come scriveva il mio Predecessore, «recuperare la serena armonia con il creato, per riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò che ci circonda» (Enc. Laudato si’, 225)”. 

Sappiamo che nel Borgo di Castel Gandolfo, oltre al lavoro concreto della terra che coinvolge anche persone in difficoltà, si realizzano incontri di approfondimento e studio. Significativo e stimolante è stato quello delle Conferenze episcopali europee, concluso il 21 settembre scorso, in cui hanno partecipato i rappresentanti dei Vescovi europei: è stata una tappa importante all’interno del Tempo del Creato che, come sapete, si celebra ogni anno dal 1° settembre al 4 ottobre, per richiamare la Chiesa universale a riscoprire la responsabilità verso la casa comune e ad approfondire l’impegno per la sua salvaguardia. 

Per chi non ne fosse informato, ricordo che questo “Tempo per il Creato” è un’iniziativa di grande valore ecumenico: istituito per gli Ortodossi nel 1989 dal Patriarca Dimitrios I, è stato poi esteso a tutte le Chiese europee nel 2001 e la Chiesa Cattolica è entrata a farne parte nel 2015; sta diventando quindi un appuntamento globale ed ecumenico per la cura della "casa comune". 

Mi sembra importante sintetizzare quanto si è detto in quel contesto: I Vescovi hanno ribadito che la cura del Creato appartiene al cuore della fede cristiana.  Siamo convinti che Dio, creando l’uomo a sua immagine e somiglianza, gli ha donato gratuitamente la possibilità di agire per il bene, proprio come fa Lui, e vuole che cresca nella consapevolezza della sua dignità e responsabilità. 

Suor Alessandra Smerilli, segretario del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, dopo aver ricordato come l’enciclica di Papa Francesco abbia generato nella Chiesa processi duraturi, capaci di incidere nella formazione, nella pastorale e nel dialogo con il mondo (qui c’è anche il piccolo seme della nostra Associazione Sicut novellae olivarum!) ha anche ammonito che non ci si può limitare alle sole dichiarazioni e che «occorre passare dalle parole ai fatti; e promuovere una conversione del cuore». 

Affrontando il tema della custodia del creato come responsabilità umana, i Vescovi hanno ribadito che, dal momento che la creazione va accolta come dono affidato da Dio, tale dono comporta la responsabilità di tutto l’essere umano; per cui l’ecologia integrale della Chiesa non si può limitare a una questione ambientale e tocca le dimensioni spirituali, sociali ed economiche dell’esistenza. 

I Vescovi partecipanti al Convegno hanno avuto anche il supporto di studiosi particolarmente impegnati in questo campo. Per esempio, la professoressa Carmody Grey, dell’Università Radboud, in Olanda, ha ribadito con forza che la cura del creato appartiene al cuore stesso della fede cristiana; e che non si tratta di un’opzione politica, ma di una responsabilità che scaturisce dalla fede in Dio creatore. Ha anche indicato alcune priorità per il futuro: riaffermare la cura ecologica come impegno di fede, combattere le ingiustizie sistemiche, costruire comunità resilienti e speranzose; in particolare si è soffermata sul fatto che si tratta di «una responsabilità verso i poveri e verso coloro che non sono ancora nati». 

Molto interessante anche l’intervento del benedettino Stefan Geiger, teologo e pedagogo sociale dell'Abbazia di Schäftlarn vicino a Monaco (Germania) e insegnante del Pontificio Istituto Liturgico a Roma. Egli ha posto l’accento sulla dimensione liturgica e spirituale che la cura del creato comporta. Ha spiegato che la vera spiritualità cristiana non si riduce a un pensiero astratto; si incarna nella vita e si nutre della liturgia. In particolare, l’Eucaristia rivela l’unità profonda tra creazione, lavoro umano e redenzione».


 Sollecitata da questo ultimo intervento, ho pensato di soffermarmi un pochino sulla potenza educativa della liturgia, che ci sensibilizza ad addentrarci con fede nel mistero della creazione. 

Sappiamo che la creazione non è un insieme di realtà disparate: è un cosmo che implica ordine e armonia. Tutto il creato celebra la grandezza del Signore attraverso l’uomo, che ne è la sintesi suprema, il vertice; solo attraverso di lui può realizzare la sua vocazione alla lode di Dio. 

Questa verità è espressa sinteticamente con chiarezza nel Prefazio della preghiera eucaristica IV, dove si afferma che «noi, fatti voce di ogni creatura, esultanti cantiamo». 

Soltanto alla creatura umana è data la possibilità di dare voce a tutto ciò che è inanimato e impossibiitato ad esprimersi; e noi, attraverso i Salmi e i Cantici che compongono la Liturgia dele Ore, veniamo educati a santificare ogni momento del giorno. Proprio in questi testi di preghiera di rara bellezza, espressi spesso in forma poetica, troviamo innumerevoli riferimenti alle creature di Dio, di cui noi ci facciamo voce. 

Accenno soltanto al Cantico di Daniele (3, 57-88), che ogni domenica e nelle feste alle Lodi pone sulla nostra bocca l’invito, rivolto a ogni creatura, terrestre e celeste, animata e inanimata, a benedire e lodare il Signore: Benedite, opere tutte del Signore, il Signore... 

Splendido anche il Salmo 97/98 (vv. 7-9), anch’esso proposto per le lodi domenicali, dove le creature inanimate sono invitate ad assumere un comportamento umano: 

Frema il mare e quanto racchiude, / il mondo e i suoi abitanti. 

I fiumi battano le mani, / esultino insieme le montagne 

davanti al Signore che viene, / che viene a giudicare la terra. 


Non so se tutti sapete che recentemente è stato approvato un formulario specifico per la Messa per il Creato, che papa Leone ha utilizzato per primo il 9 luglio a Castel Gandolfo. 

L’antifona di ingresso ricorda che “i cieli narrano la gloria di Dio” ((Sal 18,2); la preghiera Colletta supplica: “O Padre, che in Cristo, primogenito di tutta la creazione, hai chiamato all’esistenza tutte le cose, fa’ che, docili alla forza vitale del tuo Spirito, custodiamo con amore l’opera delle tue mani”. In quell’occasione il Papa in una breve omelia ha commentato i testi biblici scelti per questa celebrazione: la prima lettura, è tratta dalla lettera ai Colossesi 1,15-20, dove Paolo sottolinea che Cristo è il primogenito di ogni creatura; il testo evangelico di Matteo 8, 23-27, normalmente indicato come “la tempesta sedata” focalizza il potere divino che Cristo ha sulle forze della natura: 

Il Papa, commentando brevemente questi testi della Scrittura, ha iniziato con il riferimento allo stupore degli Apostoli davanti al prodigio, soffermandosi più dettagliatamente sulla lettera ai Colossesi. 

Diceva tra l’altro: 

“Allora, torniamo a chiederci: «Chi è mai Costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?» (Mt 8,27). L’inno della lettera ai Colossesi che abbiamo ascoltato sembra proprio rispondere a questa domanda: «Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra» (Col 1,15-16). I suoi discepoli, quel giorno, in balìa della tempesta, in preda alla paura, non potevano ancora professare questa conoscenza di Gesù. Noi oggi, nella fede che ci è stata trasmessa, possiamo invece continuare: «Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose» (v. 18). Quelle sono parole che ci impegnano lungo la storia, che fanno di noi un corpo vivente, il corpo del quale Cristo è capo. La nostra missione di custodire il creato, di portarvi pace e riconciliazione, è la sua stessa missione: la missione che il Signore ci ha affidato. Noi ascoltiamo il grido della terra, noi ascoltiamo il grido dei poveri, perché questo grido è giunto al cuore di Dio. La nostra indignazione è la sua indignazione, il nostro lavoro è il suo lavoro. A proposito, il canto del salmista ci ispira: «la voce del Signore è sopra le acque, tuona il Dio della gloria, il Signore sulle grandi acque. La voce del Signore è forza, la voce del Signore è potenza» (Sal 29,3-4). Questa voce impegna la Chiesa alla profezia, anche quando esige l’audacia di opporci al potere distruttivo dei prìncipi di questo mondo. L’indistruttibile alleanza fra Creatore e creature, infatti, mobilita le nostre intelligenze e i nostri sforzi, perché il male sia volto in bene, l’ingiustizia in giustizia, l’avidità in comunione. Con infinito amore, l’unico Dio ha creato tutte le cose, donandoci la vita: per questo san Francesco d’Assisi chiama le creature fratello, sorella, madre. Solo uno sguardo contemplativo può cambiare la nostra relazione con le cose create e farci uscire dalla crisi ecologica che ha come causa la rottura delle relazioni con Dio, con il prossimo e con la terra, a motivo del peccato (cfr Papa Francesco, Lett. Enc. Laudato si’, 66)”. 

Oggi, festa di san Francesco, risuona particolarmente toccante l’Incipit della lettera apostolica di Papa Bergoglio: 

«Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza; e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba». 

E prosegue, al n. 2 della Laudato si’: “Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22)”.

Trovo particolarmente significativa e forte la sottolineatura fatta da san Paolo riguardo al gemito della creazione e voglio condividere la riflessione che su questo tema ha fatto la biblista Suor Anna Maria Vitagliani, sempre alla luce della Laudato si’; mi pare offra spunti per un percorso di approfondimento e di crescita. 

Così lei si esprime: “Questa affermazione, scritta quando ancora non era possibile immaginare lo scenario di devastazione ambientale e sociale del nostro tempo, è stata ripresa dall’enciclica Laudato si’ per accusare un modello economico che sfrutta e opprime tanto l’ambiente naturale, quanto i più poveri fra gli esseri umani. Il «grido» della terra e dei poveri (LS, n. 49) denuncia «la violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato» (LS, n. 2) e che non appartiene soltanto all’ordine economico e sociale, ma investe le sfere dell’etica e della fede. 

Infatti – continua san Paolo nella Lettera ai Romanianche noi gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli (8,23) e lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili (8,26). Significa che questo gemito è l’espressione di un cammino che l’umanità, e con essa il creato, con la presenza operante dello Spirito, stanno compiendo: è il travaglio di un parto, di una vita che chiede di venire alla luce. Tutti i credenti sono chiamati a condividere il gemito del creato che soffre e quello più radicale, che è spinta interiore verso la vita e la sua manifestazione piena, verso il fine a cui tutto il creato tende. In che modo la Bibbia aiuta a crescere in consapevolezza, per conoscere, sentire e partecipare di questo gemito? Per rispondere, dobbiamo percorrere un cammino che parte dal modo in cui il creato viene presentato nel primo capitolo della Genesi e nel Libro della Sapienza; per poi prendere in esame alcuni passaggi del Nuovo Testamento, i quali ci offrono alcune indicazioni su come la realtà creata viene inclusa nell’economia della salvezza realizzata in Gesù Cristo. 

La vita innanzitutto 

Il primo racconto della creazione, in Genesi 1,1-2.4a, descrive come un’esplosione di vita. Nel testo l’opera creatrice di Dio è rivelazione del suo stesso essere, che è totalmente “essere per la vita”. Il ritmico intercalare Dio vide che era cosa buona (Genesi 1,4.10.12.18.21.25) davanti al procedere della creazione, fino a giungere a Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona (1,31) davanti alla creazione dell’essere umano, esprime la consapevolezza, fin dall’inizio, che l’atto creatore e la realtà materiale sono “bene” e che questo “essere bene” è il DNA originario del creato. 

Tale visione è ripresa nel Libro della Sapienza, in cui il creato è visto come l’opera di Dio: il Signore amante della vita (Sapienza 11,26), che ha creato tutte le cose perché esistano (1,14), non prova disgusto per nessuna delle cose che ha creato; le ha volute così come sono e, coerente con se stesso, le conserva nell’esistenza e le fa crescere con il suo amore, la sua compassione e la sua indulgenza (11,21-26). Nel creato, ogni generazione trasmette la vita e, insieme ad essa, la benedizione divina che l’accompagna fin dal principio. A partire da questa base, la Laudato si’ trae la conclusione che «essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile […]. Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda … che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione» (LS, n. 89).

 Tutto il creato, di cui anche l’essere umano è parte prima ancora di esserne custode, è interconnesso e interdipendente; nel tempo e nello spazio creato è soggetto attivo e partecipe di un dinamismo di crescita in progressione verso la pienezza finale. 

«Proclamate il Vangelo a tutta la creazione» 

Le ultime parole di Gesù risorto nel Vangelo di Marco contengono un invio in missione di respiro cosmico: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura (Marco 16,15). … Ciò significa che tutto il creato nel suo dinamismo vitale è destinatario dell’annuncio del Vangelo… e il fine a cui tende ogni essere creato è quello di essere manifestazione piena della vita e dell’amore. Proclamare questa buona notizia diventa allora promuovere l’emergere pieno di questa consapevolezza e favorire tutto ciò che permette a ogni creatura di fiorire in pienezza. Viene abbozzata così l’idea di una vocazione cosmica all’incontro con Dio: l’essere umano non è l’unico attore della storia della salvezza, nella quale il creato avrebbe soltanto il ruolo di sfondo passivo e di strumento per la realizzazione umana! Tutte le creature, secondo gradi di consapevolezza diversi, partecipano al dinamismo salvifico. … Dentro le contraddizioni della sofferenza e del male, il dinamismo della resurrezione orienta in modo decisivo il cammino del creato verso quella pienezza, che è la sua meta finale. 

Per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio 

Ritornando alla Lettera ai Romani (8,20-23), questa prospettiva cosmica si ritrova, con altri termini, nell’affermazione di Paolo: La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo 

C’è un gemere condiviso dal creato nella sua interezza e dall’essere umano abitato dallo Spirito, un gemere aperto a un’attesa di compimento e di generazione piena alla vita. È lo stesso gemito espresso da Gesù nel racconto di guarigione di un sordomuto, quando gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro [= gemette] e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!» (Marco 7,33-34). Questo gemere del creato e del credente, al quale ha partecipato Gesù stesso, è pertanto segno della fatica e della sofferenza per tutto ciò che è malattia, fisica e non solo, ma anche per tutto ciò che chiude alla vita: la debolezza nel compiere il bene, l’incapacità di sciogliere le contraddizioni dell’esistenza, la tendenza a scivolare nel male. … E Gesù condivide questo gemito con la sua compassione per le situazioni di vita ferite e con il suo agire generatore di vita e di guarigione. … Il gemito del creato coopera al compimento della pienezza per l’essere umano, nel risvegliarlo costantemente alla consapevolezza del suo essere creaturale e della sua vocazione a essere membro della “famiglia universale” … 

L’adozione a figli, già donata all’essere umano che ha ricevuto le primizie dello Spirito di Gesù Risorto, per mezzo del quale grida Abbà! Padre (Romani 8,15), si compirà nella redenzione del corpo, cioè quando raggiungeremo la piena fioritura del nostro essere umani, [integrando pienamente anche la dimensione più concreta e più fragile della nostra identità creaturale;] questa pienezza ci renderà totalmente liberi, senza più necessità di difenderci e di dominare per affermarci. Tale liberazione coinvolgerà anche il creato, che non sarà più oggetto di dominio e sfruttamento, ma luogo di condivisione pacificata delle sue meraviglie, e così anch’esso sarà liberato dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (8,21). 

Ecco, io faccio nuove tutte le cose 

«Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr 1 Corinzi 13,12) e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine. […] Gesù ci dice: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati» (LS, n. 243). 

Queste parole della Laudato si’ esprimono bene il senso del cammino di compimento verso cui tutto il creato e l’umanità tendono: è la “novità”, di cui parla il libro dell’Apocalisse: E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più (21,1). Il creato tutto, indicato dal binomio “cielo e terra”, si muove verso un radicale rinnovamento. 

La novità è l’esito finale dell’attuazione progressiva del rinnovamento che la potenza di vita e di bene della resurrezione imprime sul mondo, in fedeltà e continuità con la bontà originaria del creato È questo lo sfondo biblico nel quale inserire anche la comprensione dell’ecologia integrale; è la prospettiva che svela tutta la profondità teologica del magistero di Laudato si’. Queste riflessioni ci possono aiutare ad assumere una sempre maggiore responsabilità e ci lanciano in avanti. Infatti non è sufficiente accontentarsi di una conoscenza astratta. 

Il Papa lo ricordava all’incontro del 1° ottobre a Mariapoli, con parole che meritano di essere meditate attentamente: “Come in ogni anniversario, mentre facciamo memoria del passato con gratitudine, ci chiediamo che cosa resta da fare. Negli anni siamo passati da una fase di comprensione e studio dell’Enciclica, a un’altra di implementazione. Ora, che cosa occorre perché la cura della casa comune e l’attenzione al grido della terra e dei poveri non appaiano come una moda passeggera o, peggio ancora, che essi siano visti e sentiti come temi divisivi? L’Esortazione apostolica Laudate Deum, sulla crisi climatica e pubblicata proprio il 4 ottobre di due anni fa, notava che, dopo Laudato si’, «non sono mancate le persone che hanno cercato di minimizzare» (n. 6) i sempre più evidenti segni del cambiamento climatico, di «porre in ridicolo chi parla di riscaldamento globale» (n. 7) e persino di incolpare i poveri di ciò che più degli altri essi subiscono (cfr n. 9). 

Accanto all’impegno della diffusione del messaggio dell’Enciclica, oggi si rende più che mai necessario ritornare al cuore. Nelle Scritture, il cuore non è solo il centro dei sentimenti e delle emozioni: è la sede della libertà. Sebbene includa la ragione, la trascende e la trasforma, integrando e influenzando tutti gli aspetti della persona e dei suoi legami fondamentali. Il cuore è il luogo su cui la realtà esterna ha più impatto, in cui si compie la ricerca più profonda, dove si scoprono i desideri più autentici, si trova la propria identità ultima e si formano le decisioni. È solo attraverso un ritorno al cuore che può avvenire anche una vera e propria conversione ecologica. Occorre passare dal raccogliere dati al prendersi cura; da discorsi ambientalisti a una conversione ecologica che trasformi lo stile di vita personale e comunitario. 

Per chi crede, si tratta di una conversione non diversa da quella che ci orienta al Dio vivente, perché non si può amare il Dio che non si vede disprezzando le sue creature, e non ci si può dire discepoli di Gesù Cristo senza partecipare del suo sguardo sul creato e della sua cura per ciò che è fragile e ferito”. 


Chiudo con due pensieri della nostra Fondatrice, Ven. Maria Oliva Bonaldo, che mi pare sintetizzino bene quanto abbiamo detto finora: Il Corpo fisico di Gesù era la gioia di Maria, il suo Corpo Eucaristico è la gioia nostra, il suo Corpo Mistico sarà la gioia del Padre Celeste, il ritorno della creazione redenta e santificata al suo Cuore (Olga della Madre di Dio, p. 142). Dio che ci ha creato dal nulla e ci ha formato col fango della terra, sa che sospiriamo la restaurazione del nostro spirito e del nostro corpo, di tutto il nostro essere, di tutto ciò che ha concorso a svilupparlo e a inserirlo nella creazione. La santità sarà la restaurazione del nostro essere e una nuova creazione ammanterà la vecchia creazione inquinata dal male. Come? Non lo sappiamo. Sappiamo che ciò avverrà per una esigenza del Cuore di Dio, che «non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne una più certa e più grande» (Manzoni). Non solo perché ci ha creato, ma anche perché le ha esperimentate, queste gioie dei suoi figli (Dal Commento a Lumen Gentium n. 48).

 A cura di Sr. Maria Teresa Sotgiu

Incontro SNOL 4.10.2025



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